4 Incontro 21 genn. 2022

Gruppo Santa Famiglia di Nazareth                                                         

21 gennaio 2022

L’amore familiare vocazione e via di santità nell’educazione dei figli

INTRODUZIONE

Nel discorso rivolto ai membri dell'Associazione italiana genitori il 7 settembre 2018, papa Francesco richiama il senso della "vocazione educativa", sottolineando l'importanza del ruolo dei genitori e la direzione che deve avere la loro azione: indicare la strada, nel rispetto della libertà e dell'identità dei più giovani loro affidati.

«Cari genitori, i figli sono il dono più prezioso che avete ricevuto. Sappiatelo custodire con impegno e generosità, lasciando ad essi la libertà necessaria per crescere e maturare come persone a loro volta capaci, un giorno, di aprirsi al dono della vita. L'attenzione con cui vigilate sui pericoli che insidiano la vita dei più piccoli non vi impedisca di guardare con fiducia al mondo, sapendo scegliere e indicare ai vostri figli le occasioni migliori di crescita umana, civile e cristiana. Insegnare ai vostri figli il discernimento morale, il discernimento etico: questo è buono, questo non è tanto buono, e questo è cattivo. Che loro sappiano distinguere. Ma questo si impara a casa e si impara a scuola: congiuntamente, tutte e due.»

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  1. Entriamo nel clima di preghiera

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Salmo 144[recitiamo a cori alterni]

Benedetto il Signore, mia roccia,

che addestra le mie mani alla guerra,

le mie dita alla battaglia,

mio alleato e mia fortezza,

mio rifugio e mia liberazione,

mio scudo in cui confido,

colui che sottomette i popoli al mio giogo.

Signore, che cos'è un uomo perché tu l'abbia a cuore?

Un figlio d'uomo, perché te ne dia pensiero?

L'uomo è come un soffio,

i suoi giorni come ombra che passa.

Signore, abbassa il tuo cielo e discendi,

tocca i monti ed essi fumeranno.

O Dio, ti canterò un canto nuovo,

inneggerò per te sull'arpa a dieci corde,

a te, che dai vittoria ai re,

che liberi Davide tuo servo dalla spada iniqua.

Scampami e liberami dalla mano degli stranieri:

la loro bocca dice cose false

e la loro è una destra di menzogna.

I nostri figli siano come piante

cresciute bene fin dalla loro giovinezza;

le nostre figlie come colonne d'angolo

scolpite per adornare un palazzo.

I nostri granai siano pieni,

trabocchino di frutti d'ogni specie.

Siano a migliaia le nostre greggi,

a miriadi nelle nostre campagne;

siano carichi i nostri buoi.

Nessuna breccia, nessuna fuga,

nessun gemito nelle nostre piazze.

Beato il popolo che possiede questi beni:

beato il popolo che ha il Signore come Dio.

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  1. Ascoltiamo il Signore che ci parla

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dal Vangelo secondo Luca [2,39-40.51-52]

39Quando ebbero adempiuto ogni cosa secondo la legge del Signore, fecero ritorno in Galilea, alla loro città di Nàzaret.

40 bambino cresceva e si fortificava, pieno di sapienza, e la grazia di Dio era su di lui.

51 partì dunque con loro e tornò a Nàzaret e stava loro sottomesso. Sua madre custodiva tutte queste cose nel suo cuore. 52 E Gesù cresceva in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini.

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3. Riflettiamo sul testo

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L'evangelista nei quattro versetti della "vita nascosta a Nàzaret" racchiude i primi anni dell'esistenza e della crescita di Gesù vissuti in famiglia.

"Poca roba", diremmo. Sembra quasi che Luca lasci questo periodo celato in un alone di intimità e di riservatezza. L'esperienza ci insegna che, sicuramente, si è trattato di un tempo di fatica ma allo stesso tempo di tanta gioia, che merita certamente di essere scoperto.

È originale anche il contesto: si parte sempre da Gerusalemme e si arriva a Nàzaret: la prima è la città di Dio, del tempio, della legge, mentre Nàzaret il luogo del ritorno, del ritrovo, della crescita: un grembo materno.

I protagonisti: in primis, una coppia di sposi, rispettosi della legge e della tradizione ebraica –

«Ebbero adempiuto ogni cosa secondo la legge del Signore»-, che accompagna Gesù, prima bambino, poi fanciullo in questi "assaggi" della vita nascosta. È una famiglia con uno stile di vita ben definito e, di conseguenza, con uno stile educativo ben preciso.

Dalle poche parole contenute nei Vangeli a questo proposito, possiamo riconoscere che Maria e Giuseppe hanno saputo accogliere con gioia e farsi partecipi del progetto di Dio, vivendo la loro unione con amore vicendevole, nel rispetto della volontà del Padre, diventando così un esempio e via di santità per le nostre famiglie.

Accogliere significa accettare, far propria e saper trasmettere con autenticità nella vita concreta la propria esperienza culturale e religiosa maturata in coppia ed elaborata nel vivere quotidiano. L'evangelista precisa questo passaggio esperienziale di vita familiare ordinaria e nello stesso tempo straordinaria nella descrizione del "bambino": cresceva in sapienza e si fortificava. Il figlio di Dio nella famiglia impara a diventare uomo, e dona alla famiglia stessa la grazia di Dio.

Ma anche nella casa di Nàzaret il "processo educativo" si evolve con la fanciullezza di Gesù, ed entrano in gioco anche gli aspetti più critici del confronto e della relazione tra genitore e figlio, riportati nei versetti precedenti (cfr. Lc 2,41-50). L'insegnamento consegnato al "bambino", come avviene per tutti gli adolescenti che coltivano amicizie, esperienze bellissime e tristissime, e fanno i conti con fatiche e delusioni, si relaziona attivamente con i genitori e certamente, anche per il nostro "divino fanciullo", sarà sfociato nella conflittualità.

Nel secondo ritorno a Nàzaret troviamo Gesù «sottomesso». Questa parola stride con il pensiero corrente perché allude a un'imposizione, una costrizione, che sono giudicate negativamente. Tuttavia, quando noi genitori non sappiamo dire dei "no" ai nostri figli, imponendo loro delle restrizioni, corriamo il rischio di instaurare un rapporto di amicizia, se non di "complicità", di essere accomodanti nei loro confronti, perdendo di vista l'autorevolezza necessaria in un rapporto educativo.

Sicuramente il termine "sottomesso" non indica un castigo imposto a Gesù, ma la piena condivisione di quella relazione educativa con la sua famiglia che lo accompagnerà fino all'inizio della predicazione.

L'atteggiamento di Maria è meraviglioso: la madre che accoglie il figlio di Dio nel cuore, con tutta se stessa, comprese tutte le cose e i comportamenti che non riesce a comprendere. Ci vorrebbe un mondo intero per custodire tutto ciò che un padre e una madre possono conservare nel proprio cuore: i momenti gioiosi, le angosce, le preoccupazioni, le delusioni, i sogni, le speranze, il dubbio di non essere all'altezza, di essere inadeguati e chissà quant'altro. È di grande conforto trovare nella scrittura un riscontro così umano, proprio di una madre, nei confronti della realtà divina del figlio.

Infine, l'evangelista Luca, al versetto 53, in modo speculare rispetto al versetto 40, ritorna sull'evoluzione del fanciullo Gesù, descrivendolo con gli stessi aggettivi riportati in precedenza, non solo «davanti a Dio» ma anche «agli uomini». Come a sottolineare che Gesù ora ascolta le parole degli uomini, vive le loro esperienze e userà il loro stesso linguaggio, imparato in famiglia, per comunicare la Parola e farci vivere l'esperienza di Dio.

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  1. Meditiamo considerando la nostra realtà di coppia

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A Nàzaret, con Maria e Giuseppe, Gesù cresce in una sorta di nascondimento. Nei Vangeli sono raccontati solo tre anni di ministero e trenta di silenzio. Egli cresce in una famiglia normale con una madre che lo accudisce e un padre che lo istruisce nel lavoro di falegnameria. Nei primi tempi della predicazione, Gesù viene riconosciuto dalla gente come "figlio di Giuseppe, il falegname".

Degli anni trascorsi a Nàzaret non sappiamo nulla, o forse sappiamo tutto... Gesù ha vissuto la fanciullezza e la giovinezza con i suoi genitori, probabilmente giocando con i bambini del villaggio, andando a trovare i nonni, aiutando suo padre e sua madre nelle faccende domestiche.

Maria e Giuseppe: una coppia come tante di noi!

Maria, Giuseppe e Gesù: una famiglia come le nostre! Una famiglia con le sue gioie e le sue fatiche.

Nel sacramento del matrimonio, abbiamo chiesto la grazia di essere fecondi. Dio ci ha donato i figli; in loro si compie il miracolo della vita, li abbiamo ricevuti da Dio perché possiamo crescerli nel suo amore. Un grande dono, una gioia immensa e inaspettata, contagiosa, che coinvolge le persone intorno a noi. La nascita di un figlio è per tutti, anche per la società, una fonte di gioia ma anche di responsabilità.

Chiunque sicuramente ricorderà il momento del ritorno a casa dall'ospedale con il proprio bambino; tutti abbiamo provato sentimenti di felicità e insieme di preoccupazione e apprensione per ciò che ci attendeva, per il fatto di non essere più due ma di essere diventati tre, poi quattro, cinque... Gli stessi sentimenti sono vissuti dalle coppie che adottano un figlio o che lo accolgono in affido; si può essere "fecondi" in tanti modi, non solo procreando.

Giuseppe e Maria nella loro quotidianità hanno sperimentato una vita spesa secondo la "legge di Dio", una vita di "santità".

Anche noi come famiglie, sul loro esempio, possiamo vivere la santità. Il matrimonio è la vocazione alla quale siamo stati chiamati, che si concretizza nella quotidianità, con il lavoro, le responsabilità pubbliche, le faccende domestiche, l'educazione dei figli. Giorno dopo giorno, nei piccoli gesti quotidiani è tracciata per gli sposi la via possibile per diventare santi.

Maria e Giuseppe erano creature così tanto amate da Dio da ricevere un dono grande, una grazia: Gesù!

Quelli di Dio sono doni preziosi, vanno custoditi e curati.

Maria e Giuseppe hanno la responsabilità di crescere Gesù! Come tutti i genitori, anche loro avranno sentito il peso di questa responsabilità; chissà se qualche volta si saranno chiesti se il loro modo di educare fosse quello giusto, chissà quante volte Gesù li avrà fatti stare in ansia o avrà disubbidito... Anche lui, da adolescente, come i nostri figli, avrà vissuto quel turbinio di emozioni e sentimenti tale da far preoccupare i suoi genitori. Ricordiamo il passo di Luca: «Figlio perché ci hai fatto così? Ecco tua madre ed io, angosciati, ti cercavamo».

Chissà quante volte, dopo l'ennesima discussione con i nostri figli (sul tempo eccessivo passato con il cellulare in mano o alla consolle, sull'orario di rientro a casa dopo la serata in compagnia, sulle frequentazioni piuttosto che sull'abbigliamento...) ci siamo chiesti se il nostro metodo educativo fosse giusto. Leggiamo di analisi che descrivono questa generazione di ragazzi come apparentemente pigri, che preferiscono relazionarsi con gli altri attraverso i social media piuttosto che uscire e incontrare i loro coetanei; vediamo le loro fatiche nel costruire relazioni soddisfacenti con i coetanei e con l'altro sesso; percepiamo la loro inquietudine e insofferenza verso la vita che conducono. Sentiamo racconti di problemi enormi nella crescita, che attingono a un contesto esistenziale e sociale non sempre sereno e incoraggiante, che porta ragazzi, adolescenti e giovani a devianze serie, come i disturbi alimentari, il sesso precoce, la chiusura in se stessi.

I nostri figli, pur comprendendo i rischi che corrono con la presenza costante sui social, ci passano le ore; sembrano molto bravi a districarsi tra App, social, video, ma non ne comprendono appieno i rischi. Noi ci preoccupiamo, eppure il regalo più gettonato per la prima comunione è lo smartphone.

Tutto questo ci spiazza e ci disarma, ci fa dubitare di noi stessi, ma proprio qui si gioca il nostro ruolo educativo e non possiamo mai trascurare di confrontarci con altri, di formarci, di interrogarci sulle nostre scelte, di comprendere il contesto in cui siamo immersi e di indicare la strada ai figli che stanno crescendo. Età differenti dei figli richiederanno interventi educativi diversi, a volte più decisi e rigorosi, altre volte più discreti e "morbidi". Sull'esempio di Maria e Giuseppe, che non sempre compresero il pensare e l'agire di Gesù, anche noi, pur non comprendendo in tutto e per tutto il vissuto dei nostri figli, siamo chiamati a essere di esempio, non rinunciando mai a fare delle situazioni, anche problematiche, un'occasione di dialogo con loro. Come Maria e Giuseppe dobbiamo crescere nella consapevolezza che la nostra vocazione di genitori consiste nell'accompagnarli -con amorevolezza e rispetto della loro identità- lungo il cammino della vita, incoraggiandoli e sostenendoli perché trovino la loro strada [la loro "vocazione"] e la felicità.

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  1. Domande per la lectio del “noi” e la condivisione di gruppo

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Ripensando alla celebrazione del Sacramento del Matrimonio condividiamo un momento in cui la nostra vocazione sponsale è apparsa più consapevole ai nostri occhi.

Raccontiamo un episodio in cui il/la nostro/a sposo/a ha compiuto un gesto di amore disinteressato verso di noi, mostrandoci così il volto di Dio.

Quale ruolo educativo possiamo avere e che esempio possiamo mostrare ai nostri figli nell'uso dei social media?

Quale dialogo adottiamo con i nostri figli per un'educazione consapevole e per essere al loro fianco come guide discrete ma autorevoli nelle varie fasi della vita?

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  1. Preghiera finale

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Preghiera dei genitori

Signore Gesù, insegnaci a capire,

ad accettare, a favorire

la vocazione dei nostri figli.

Guida i nostri gesti, ispira le nostre parole

perché nulla in noi li ostacoli

nel seguire la strada su cui tu li hai chiamati.

Facci attenti ai loro bisogni,

rispettosi dei loro sentimenti,

capaci di sostenerli

nel momento del dubbio o della prova.

Donaci il coraggio dell'amore disinteressato,

pronto al sacrificio.

E i tuoi genitori, Maria e Giuseppe,

ci siano ogni giorno

di conforto, di aiuto

e di esempio in questo cammino.

Amen.

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